Ciclo conferenze Psicoterapia e dintorni- Milano.
Quando si è sottoposti alla frequentissima domanda: “cosa fai?”, che detta elegantemente è, di cosa ti occupi? La risposta che dovrebbe dare chi si rimette in gioco è: mi occupo di me stesso.
Almeno una volta nella vita è doveroso occuparsi di se stessi e non solo giocando a tennis o acquistando la macchina nuova o il viaggio premio.
La realtà spesso ci dimostra strani paradossi:
ci si occupa di se stessi se l’azienda ti manda in pensione.
Ci si occupa di se stessi se si è parte degli esuberi.
Ci si occupa di se stessi se c’è un lutto, una mancanza.
Occuparsi di se stessi non dovrebbe essere quanto di più naturale esiste?
Non significa non occuparsi più degli altri o dei compiti per vivere, ma farlo con più consapevolezza, dedizione ed attenzione.
Sino a quando ragione, sentimenti, paure e forze sono subordinate alle decisioni degli altri sono ad alto rischio le reazioni incongrue, i mal di testa, le “intolleranze familiari e relazionali”.
Occupandosi di se stessi, si acquisisce più dimestichezza nel sentirsi forti, deboli, allegri, capaci, goffi, soli….
Sei un baby pensionato ? Ma che enorme fortuna se non si è convinti che il portone della senilità infelice è pronto ad accoglierti, certo fortunato chi non ha tali convinzioni, ancora di più chi le ha ed è disposto a cambiarle, scoprirà una seconda vita piena di sorprese e non quelle delle terza età anticamera di qualcos’altro.
Chi si rimette in gioco gode del privilegio di sentirsi con le sue radici.
I rami sono le esperienze della vita, il work in progress che hanno portato gioie, dolori, stipendi. Cosa si può volere di più ? Radici e rami, bisogna decidere se potare qualche ramo, alimentare il terreno per nutrire le radici o, perché no, da uomo libero e con tanti rami magari togliere qualche radice, uno sradicamento alla voglio vivere così per rimanere in tema.
Gli sradicamenti alla voglio vivere così non sono le storie degli emigrati italo-australiani o italo-americani, neanche gli hippy che dopo aver frequentato Osho si trasferiscono in India e cambiano abiti, usi, costumi. Gli sradicamenti del voglio vivere così che potrebbe anche chiamarsi il nuovo mondo, sono cauti, frutti di ragionamenti e sragionamenti, spinte adulte che usano emozioni, percezione ed intelletto. Forse qualcuno ha deciso di voler vivere in quel modo e qualche altro ha saputo approfittare di situazioni scomode per togliere qualche radice, potare qualche ramo carico di esperienze fatte, rami indeboliti dal vite consumate ad adempiere a certi ruoli.
Un uomo che ho accompagnato al cambiamento era entrato da poco nella categoria dei pensionati, romagnolo simpatico e verace che aveva espresso la sua veracità solo in un azienda ed in un solo modo: 40 anni di servizio più o meno uguali con qualche passaggio di grado, come diceva lui.
Qualche dubbio lo avevo anche io, 40 anni di medesimo lavoro, luogo, orario, colleghi sono una bella casa fatta a misura, una cassaforte che non lascia spazio ad abitudini diverse, comportamenti ben strutturati. L’adattamento è tanto comodo quanto scomodo.
Chi si occupa di sé impara a disimparare, a trovare cioè nuove forme di adattamento in controcorrente con il comodo e pigro adattamento. Sapere adattarsi ed adattarsi a cambiare gli schemi è la competenza numero uno, la base della pedagogia educativa, il basic per sviluppare idee, talenti, in sintesi la conditio sine qua non per vivere e non sopravvivere.
L’adattamento permette di sopravvivere alle condizioni più impensabili, si comporta però come un software, chiedigli di fare quello che non è nel programma, non accade la magia, non appare l’iconcina che ti porta immediatamente alla soluzione. La soluzione si può trovare per combinazioni, connessioni, strade diverse che sperimenta chi sta usando quel software, tutti gli esseri umani quando cambiano abitudini possono decidere se usare una piccola parte del proprio software o disimpigrire il cervello, cambiare gli schemi, energizzare le parti creative, divertirsi a riscoprire radici da mantenere e da tagliare e via…può entrare il nuovo.
Il signore romagnolo di cui sopra dopo vari tentativi di “manipolazione” del software è passato all’azione, ha frequentato un corso di restauro e via prima gratis per gli amici, poi semi gratis per gli amici degli amici (intanto inviti a pranzo, cena, amici a gogò) e adesso per gli sconosciuti.
Torniamo alla domanda iniziale in versione elegante: di cosa ti occupi?
E la risposta: mi occupo di me stesso.
Da solo o in compagnia ? Io risponderei da solo, ma in compagnia.
In compagnia dei maestri che ti hanno guidato, letture, canzoni, mentori.
In compagnia, seppur con la giusta distanza, dei familiari, altrimenti potrebbe toccare occuparsi di loro perché non capirebbero dove sta andando a finire l’uomo con cui si é vissuti per tanti anni.
In compagnia di una guida super partes, in grado di ascoltare e fare vedere altre prospettive, questo è il trucco dell’adattamento creativo, ne parleremo la prossima puntata.
Antonella Galletta