di Antonella Galletta Psicologa Milano / Web Voglioviverecosì.
Quando scrissi Ricomincio da me, a suon di speranze e scommesse andava avanti la kermesse dell’elezioni dei nuovo Presidente degli Stati Uniti D’America.
Lo slogan della campagna di Obama era forte, d’appel, semplice e, nel marasma dei claim elettoriali si distingueva. Pensai, ecco il vantaggio del pensiero semplice, le agenzie di comunicazione americane riescono a “partorire” claim semplici ed efficaci, che arrivano al dunque senza troppi fronzoli.
Noi con la nostra bella e ricca storia, letteratura , Sacro Romano Impero, annessi e connessi, abbiamo enorme difficoltà ad arrivare al pensiero sintetico e semplice, e purtroppo e spesso neanche i bimbi, che parlano come dotti piccoli uomini che perseguono i loro obiettivi !
We can lo mutuai come titolo di un capitolo del libro sopra citato, mi sembrava una sintesi perfetta, anche se ancora non dimostrava la sua efficacia, mancavano infatti tre mesi alla chiusura della campagna.
We can, che se da un lato rispettava l’ABC della comunicazione, due parole al massimo e comprensibile dal suo ampissimo target, dall’altro dava l’idea di quanto in quel we-noi, nel can-possiamo e nel we can-noi possiamo, si trasmettesse l’essenza di movimento, alla faccia dei claim elettorali che ti promettono che con lui, il candidato, il paese cambierà.
L’asse è stato spostato dal candidato, lui-irragiungibile-mito (nessuno potrebbe ed oserebbe presentarsi da sconosciuto alla Casa Bianca o a casa di uno nostro politico di minor rango) a, noi, raggiungibili e vicini ai nostri bisogni, cose e case, fisiche e mentali.
Dopo che il bel presidente ha vinto le elezioni, diventando forse il papa nero che Nostradamus prefigurava come il pre fine del mondo, we can è stato utilizzato da molte aziende come claim.
Non è originale scopiazzare gli altri, e spero che escludiate il we can se state per inventare una vostra nuova attività, non usiamolo, quindi. Se piace un claim, abito, luogo, poesia… diventa parte di sé prima che diventi famoso e quella parte di sé può generare altro.
Occupiamoci, piuttosto, di diventare noi “famosi” e tirar fuori quello che di bello c’è in noi, senza prenderlo a prestito dagli altri.
Famosi per quel che vogliamo essere, fare, costruire e noi, possiamo.
Nel noi c’è la forza dell’io e di un gruppo la cui dimensione e forza non è definita, potrebbe anche essere un gruppo piccolo e ridotto, non ha importanza, se dentro si sente la forza di un noi che può crescere, noi va bene.
E inoltre, nessun individuo è solo, mai.
Se stiamo cenando con un fidanzato, compagna, moglie…e siamo fisicamente in due, la realtà fisica non corrisponde mai a quella mentale. In quella stanza, mentre parliamo, ascoltiamo, interloquiamo, si dimena una gruppalità invisibile fatta di papà, mamma, genitori acquisiti, mentori, fratelli.
Noi non siamo mai soli, come canta Giovanotti, anche se in un altro senso.
Noi, non io. Ricordatevi, nei vostri cambiamenti, vi portate dietro il noi, una gruppalità che ha radici tenere, dure, da tagliare, rinforzare.
Si costruisce il futuro per e con gruppi familiari e relazionali nuove.
Si può pensare ad un “voglio vivere così” se dietro o davanti le quinte c’è sempre il noi ed il senso del noi.
Antonella Galletta