di Antonella Galletta Psicologa Milano / Ciclo di conferenze Psicoterapia e dintorni.
Iniziamo da una storia, una storia di trent’anni fa.
Lei aveva deciso di laurearsi a 21 anni, e nella sua progettualità ritenuta un po’ folle, decise di imparare dal mondo prima di decidere veramente cosa fare da grande, esperienze on the road per cinque anni.
L’arte di arrangiarsi per vivere, dalla compra-vendita di Land Rover, alle vendemmie nello Champagne, alla baby sitter per facoltosi italiani in Indonesia.
Siamo nel 1979, le permanenza all’estero non conoscevano progetti Erasmus o simili e non facevano parte del pensiero comune. Allora in Italia chi andava via, emigrava alla ricerca della fortuna o aveva vinto una borsa di studio nella importante Università americana.
Durante i suoi “soggiorni”, che solitamente non erano mai estivi, incontrava inglesi, olandesi, australiani, svizzeri, qualche francese , ma nessun italiano.
Le prime domande erano sempre uguali: “da dove vieni, da quanto tempo viaggi, quanto tempo rimani” Le risposte erano in genere: “ho preso un periodo sabbatico di sei, nove mesi, credo che viaggerò per due anni… se mi piace mi fermo”. Retaggi storici, storie di nonni, di padri che avevano vissuto cambiando, agevolavano, davano naturalezza all’atto del cambiamento e dimostravano che la progettualità era affidata al singolo. Con questo passato, si è pronti a fermarsi, ripartire, i luoghi della mente e delle azioni si predispongono ad andare oltre il pre-definito.
In Italia, la parola cambiamento ed i suoi contorni emotivi ancora suscitano paure, dubbi, anche i più coraggiosi spesso concludono il discorso dicendo, “certo si può stare meglio, si ma…” ed ecco che si si apre l’anticamera dell’incertezza.
Adesso, cambiare, compiere il proprio atto rivoluzionario appartiene a due categorie: i costretti ed i volontari.
Il paradosso è che ambedue, nella maggioranza dei casi, al ritorno dalle vacanze o dai viaggi importanti, hanno pensato che sarebbe stato bello vivere in altro modo, che forse bisogna dare una svolta nella propria vita, il più delle volte quest’aria di rinnovamento dura un mese.
Nessun biasimo, solo una riflessione sull’effetto del dopo viaggio: il voler cambiare è un pensiero che spesso ha alimentato una parte di sé sopita, uno spazio per i sogni e per i progetti, un’identità altra che vuole togliere qualcosa ed aggiungere altro, è una parte che esiste.
Il 2008 ed il 2009 hanno imposto un cambiamento, faticoso e collettivo, nell’andare indietro, nello spendere meno, nel perdere il lavoro. Non si è casi isolati, “non sono io che non funziono, la colpa è del mercato”, si recuperano sentimenti semplici, di maggiore solidarietà ed attenzione all’altro, di ricerca di una felicità trascurata, la cultura dello slow come appropriazione di un senso più vero.
Il cambiamento di questi due anni, se da un lato ha tolto, dall’altro ha aggiunto forza.
Più forza anche nell’osare il proprio Don Chisciottismo, meno censure ed apertura a possibilità non considerate, “faccio quello che ho sempre desiderato fare, mi arrangio e non mi vergogno”, da dirigente riverito dai suoi collaboratori ma invecchiato prima del tempo, annoiato ed a volte noioso, ad ambulante del vintage è uno dei tanti esempi.
Certo non è facile trasformarsi in ambulante se prima hai vissuto dietro una scrivania, garantito e riverito, è altrettanto non facile vivere e non sopravvivere nelle proprie prigioni dorate, che molto spesso sono di bronzo!
Se quell’essere ambulante parte da un dentro che crede in una nuova possibilità di esistere, vedrà il bello, il divertente , la sfida o altro di buono che può sollecitare quel lavoro, energia nuova arriverà. Le ragioni sono profonde, si chiamano spinte, pulsioni, parti…, fantastici frammenti che gli individui possono scoprire, rivalutare ed unire in altra forma.
Occorre verificare il dentro e le sue reazioni, diciamo simulazioni in anteprima (se non è possibile provare dal vero), durante le simulazioni si crea qualcosa di diverso, prendono forma i pensieri, si costruisce il proprio progetto di cambiamento, l’energia costruttiva è in movimento e per ultimo si farà il business plan.
Adesso consideriamo un altro caso, nessun sogno o progetto nel cassetto, ma la necessità di lavorare. Bisogna rimettersi in gioco, ma manca il gioco. Cosa bisogna fare? Ovvia la risposta, trovare il gioco. La ricerca del “gioco”non è la ricerca del significato profondo della vita, ma una esplorazione circoscritta tra l’homo faber, l’homo ludens, l’homo sapiens e…l’homo demens, è
quella “demenza” che allontana, ben costruita in pensieri sorretti ed ingabbiati dalle convinzioni,
dai causa-effetto del pensiero semplicistico e non semplice.
Una meravigliosa esplorazione a tempo definito, all’insegna del rigore e della libertà.
Il rigore crea una riga, una direzione su cui muoversi. E’ necessaria una direzione, non necessariamente per rispettarla pienamente, ma per avere una direzione dalla quale è possibile cambiare strada.
Libertà, perché non c’è rigore senza libertà. Sono due concetti opposti, uno esiste grazie all’altro, uno supporta l’altro. Così come la definizione di alto esiste grazie al basso, il rigore e la libertà esistono in contrapposizione. Chi riesce ad essere rigoroso e libero ha creato un legame che sancisce il proprio equilibrio. Si può essere liberi, con rigore e rigorosi con libertà.
Rimettersi in gioco è cultura da nutrire ed atto creativo iniziando da se stessi. Perseveranza crea salute, direbbe l’oracolo dei King, in special modo in questo momento in cui si diffonde comunicazione, cultura, sollecitazioni in contrapposizione con lo yuppismo, l’edonismo, il sì felice se fai soldi; questo è il buon momento, nonostante tutto…
Ed infine, infine a questo pezzo e come inizio di altro, se potessimo acquistare un “ ingrediente magico” per rimettersi in gioco, re-inventarsi, quale potrebbe essere ? Uno solo, il coraggio.
Un coraggio qualitativo e consapevole un pre-viaggio prima del cambiamento.
Un coraggio che può trasformarsi in creatività, sempre esistita ma poco esplorata, in idee, emozioni, talenti, scoperte di sé e creazione d’altro. E, ricordiamo, non è la meta che crea paura, ma il percorso che porta alla meta, il coraggio è nel percorso.
Il web, il network, l’immediatezza del click che apre le porte del mondo è una risorsa che coloni, pionieri ed avventurieri non avevano, noi possiamo simulare, immaginare, studiare la via.
Ed insieme alla rete, il coraggio dello start, lasciare mamma rete e andare oltre.
E se non si è coraggiosi ? Coraggiosi rispetto a cosa, in quali contesti, con quali persone, circoscriviamo la risposta, forse il coraggio è dietro le quinte.
Il coraggio di vivere non è trasformazione radicale, è intanto manutenzione di quel che si ha, manutenzione che permette di affermare, che bello! Che bello quello che fai, che sto facendo, che stiamo creando, che bello quello che stiamo guardando, bellezza per nutrire, energizzare, dare un senso estetico ed etico ad un divenire migliore.
Il coraggio è capacità interna, ma trova la sua forza nell’esterno, se cerchiamo, creiamo, vediamo, sentiamo il senso della bellezza, arriverà il coraggio per vivere meglio, con il meglio di sé.
Antonella Galletta